Esercizi dopo dieci anni

Oggi giornata impegnativa, in ufficio. E pesante.

Una di quelle in cui tutti gli anni di lavoro vengono (da me medesima) rimessi in discussione e rivissuti con nostalgia, a tratti con rabbia per come sono oggi e per tutti quelle cose che non sono mai successe. Ma non posso permettermi altra rabbia nella mia vita, e ho già “deciso” da tanto tempo che il luogo di lavoro non può assorbire le mie energie mentali più di un tot: la rabbia, anche solo vissuta alla mia scrivania, mi farebbe uscire decisamente dai binari, mettendo a rischio il mio fragilissimo equilibrio. Non che sia facile, eh: sto facendo esercizio, mi fermo un attimo, mi concentro e aspetto che la rabbia passi, in modo da non fare troppi danni. Ovvio, dopo arriva la tristezza, ma questa è più facile da gestire, e poi basterà il sorriso dei miei bambini tra poco per farmi dimenticare.

Oggi è uno di quei giorni in cui mi sono ripetuta spesso “Respirare, ricordati di respirare”. In cui ho dovuto scendere a prendere un caffè (d’orzo) in più per non fare danni.

Ma anche uno di quei giorni che, lo so già, mi sta aiutando a scegliere la mia strada per il futuro. Una sorta di rabbia benefica, e la vedo mentre lavora, spazza via anche gli ultimi dubbi, e ormai ho capito: il mio lavoro qui, dopo dieci anni, oggi nel mio cuore è finito, perchè ho smesso di crederci.

Questo non vuol dire che la mia attenzione e il mio rendimento ne risentiranno, ma nelle ore libere lavorerò ai miei nuovi progetti.

Ricominciamo

Questi mesi di assenza dal blog sono stati molto intensi.

Ho preso decisioni importanti, dato una svolta a diversi aspetti pratici della mia vita, tagliato tanti rami; ho ricevuto delusioni, anche, ma inaspettatamente da queste ne sono uscite anche cose buone. Per certi versi infatti adesso sono stanchissima ma più serena. Meno frustrata.

Ho iniziato anche una psicoterapia, non so dire se mi sento meglio ma la vedo come una grande opportunità per dare spazio a una parte di me che ho tenuto repressa per tanto tempo.

Ho riscritto il catalogo delle mie priorità, e finalmente sorrido, rileggendolo nella mia testa: sento che è quello giusto, che mi rispecchia, che mi fa bene.

La seconda vita che mi è stata concessa continua, a tratti col fiato sospeso perché l’ansia per i controlli del mese prossimo cominciano a farsi sentire. Sono un po’ ammaccata, ma sto recuperando le forze per essere pronta a spiccare il salto.

La zavorra

Ieri sono andata a fare una chiacchierata con una dottoressa, molto nota nel suo ambiente, e molto nota in generale, visto che partecipa a numerose trasmissioni e non disdegna certo i media.

Io andavo da lei vari anni fa, quando avevo tutt’altro genere di problemi fisici poi risolti brillantemente; quella di ieri non la voglio chiamare “visita” perché, per tutta una serie di motivi, è stata lei – tramite mio marito – a chiedermi di tornare nel suo studio appunto per fare una chiacchierata. E dal momento che questa dottoressa è uno di quei medici a 360°, ho deciso di tornare, sicura che avrei avuto vari spunti interessanti per stare meglio.

Già, perché uno dei lati negativi di tutto l’iter che ho compiuto fino ad ora, è stato riscontrare la grande settorializzazione dei medici. Sarà che non potrebbe essere altrimenti, in campo medico. Sarà che l’evoluzione della medicina ha portato a questo, che i medici devono essere iper-specializzati per poterci curare bene, però diciamo la verità, un po’ dispiace. Spiace vedere che l’oncologo non dice nulla del linfedema, spiace che il chirurgo plastico non ti parli dei danni che potrebbe riservare la radioterapia alla tua bella protesi, e via di questo passo potrei fornire decine di esempi.

Insomma, complice il marito, ieri sono andata da questa dottoressa. Che mi ha fatto domande che nessuno mi aveva fatto, che mi ha chiesto come mi sento, per esempio, e non è una psicologa. Che mi ha spiegato cosa mangiare per stare meglio. E non è una dietologa. Che mi ha detto che i braccialetti (che tengo anche di notte) è meglio non portarli al braccio operato. Che mi ha detto un due tre cose da fare in concreto per sentirmi meglio. Di partire da me, per poi riuscire ad occuparmi – e a farlo bene – a tutto il resto del mondo, cioè la mia famiglia.

Insomma, sono uscita un po’ turbata, l’ammetto, perché non mi ha detto solo cose facili da mettere in pratica, anzi alcune sono decisamente difficili. Richiederanno impegno. Ma sotto sotto ho capito di essere andata da lei al momento giusto, adesso sono pronta, sono motivata, adesso ce la posso fare.

E la cosa da cui partirò, sapete qual è? Liberarmi dalla zavorra: intesa non soltanto come lo strato di grasso che adesso, finite le cure, non ho motivo per continuare ad ignorare, ma zavorra in tanti sensi. Liberarmi dai pesi mentali non necessari, ma anche di tutto il superfluo che vedo intorno a me, a casa, sulla scrivania dell’ufficio, ma soprattutto in testa.

Liberare la mia casa da tutte le suppellettili in giro che non mi piacciono più, da tutti gli utensili in cucina che non uso, liberare gli armadietti della credenza dalla cose che non mangio e che non mangerò mai, liberare gli armadi dai vestiti che mi vanno stretti o che non mi vanno e basta.

Starò meglio, dopo, ne sono sicura. Sarà un viaggio delicato, richiederà attenzione, ma anche determinazione. Richiederà pause, si apriranno ricordi. Ma alla fine mi sentirò più leggera, e sicuramente meglio.

Sorprese d’autunno

Niente da fare, per me l’autunno ha proprietà terapeutiche.

Mi piace tantissimo tirar fuori e indossare, finalmente, gli stivali.

Mi piace aver avere tanti progetti in testa e iniziare a svolgerli, piano piano, senza la fretta imposta dal ritmo frenetico di quando fa caldo.

Mi piace alzarmi che è ancora buio e iniziare la giornata con la luce che arriva piano piano, mentre io prendo il primo caffè e sveglio dolcemente i bambini.

Mi piace quel rosso vivo, quell’arancione così caldo, quei verdi impossibili da descrivere.

Mi piace sperimentare nuove ricette, e i miei amati legumi si prestano così bene a questa stagione.

Mi piace il cielo grigio, che ok che a Milano siamo abituati, ma finalmente adesso ha il suo perché.

E il sole, quando c’è il sole davvero in queste giornate di ottobre, ma quant’è bello. Quant’è luminoso. Quante cose nuove ci fa vedere con quella luce.

Ottobre mi sta regalando nuove energie, nuove risorse, e il bello è che erano tutte già dentro di me. Un po’ compresse, un po’ deformate, ma sono lì. Però io le sto scoprendo solo adesso, e quindi le considero un regalo di questi giorni.

E la cosa più bella di tutte: assaporare il gusto di una sfida che lentamente si sta superando, la gioia di un progetto che finalmente prende forma nonostante tutto. Nonostante tutti. Tutti gli ostacoli oggettivi, tutti i condizionamenti sociali e culturali, tutte le paure, tutti i consigli non richiesti che fanno nascere nuovi ed inutili dubbi. Nonostante tutto quello che si aspettano da me, che io “credo” gli altri si aspettano da me.

Scoprire che ce la faccio.

Scoprire che è possibile.

Che sorpresa meravigliosa.

Ad ottobre rinasco

Non so dove, in rete, ho letto questa frase: “Se vuoi ottenere qualcosa che non hai mai avuto, devi esser pronto a fare qualcosa che non hai mai fatto”.

E mi sono subito immedesimata, comprendendo che se voglio – come voglio – cambiare stile di vita, devo fare qualcosa di concreto. Inutile aspettare passivamente che qualcosa succeda. Inutile aspettare di avere più energie e/o di essere abbastanza serene per mettere in atto dei cambiamenti. E piano piano, non senza fatica, qualcosa ho mosso e nei prossimi tempi dovrei vedere i risultati.

Il primo passo è stato chiedere (ed ottenere, a breve) una forte riduzione dell’orario di lavoro. Non è stato un passo facile: i timori che si nascondono dietro ad una scelta del genere sono evidenti, intuibili, sia da un punto di vista professionale che aziendale. Ma ormai il dado è tratto, e tempo di sbrigare alcune incombenze burocratiche, e dovrei cominciare a lavorare metà di quello che lavoro oggi.

Questo vuol dire passare meno tempo fuori, più tempo a casa; significa avere più tempo da passare coi miei figli, e di essere meno stanca quando sono con loro…già, i figli, esserini verso i quali, me ne rendo conto, ho sviluppato un attaccamento che prima della malattia non c’era. Il bisogno di vederli ogni giorno più tempo possibile, di non perdere niente della loro vita…non so spiegarlo, ma il mio rapporto con loro è cambiato parecchio.

Un’altra cosa che mi sta aiutando molto a sentirmi meglio e più leggera, è la mia alimentazione che sta gradualmente cambiando, virando verso la scelta vegetariana.

Sono mesi – più o meno dall’inizio dell’anno – che ho cambiato il mio modo di mangiare. Pochissima carne, ogni tanto pesce, riduzione del formaggio, aumento di legumi e di alimenti a base di soia, tipo il tofu. In parallelo sto abbandonando le farine raffinate a favore di quelle integrali, sto sperimentando dolcetti a base di latte di riso e farina di farro (che per il momento apprezza solo mio marito), al posto del pane mangio crepes artigianali, come spuntini solo frutta cruda, ho inserito frutta secca e semi vari, condisco con curcuma e zenzero, e via di questo passo. Non sono (non ancora) vegetariana, e non mi interessa diventarlo: dietro le mie scelte alimentari non ci sono motivi di ordine etico, ma solo la volontà di prendermi cura di me stessa, iniziando da questa particolare declinazione. Ho studiato, mi sono informata, ho fatto corsi, seguito seminari, letto libri, ma soprattutto ho fatto i conti con i miei gusti e le mie propensioni, e il risultato finale si avvicina molto ad un regime vegetariano.

Speravo anche, a dir la verità, di perdere almeno alcuni dei molti chili accumulati con la chemio, ma così non è stato. Ma non importa. Forse c’è ancora qualcosa da aggiustare, forse non ho fatto tutto bene, ma appunto non importa, al momento. Il vero motivo di questo cambiamento è stato quello di avere un’alimentazione che mi mettesse al riparo il più possibile dalle recidive, ma che fosse compatibile coi miei gusti. Ho scoperto che i legumi mi piacciono più della carne. Ho scoperto che il formaggio (dal quale ero dipendente), diventa meno irresistibile quando si mangiano tante fibre. Ho scoperto che il riso integrale è molto più buono del riso raffinato. Ho scoperto di sentirmi meglio. E i miei esami del sangue sono perfetti, segno che il mio impegno verso un’alimentazione equilibrata è premiato.

Insomma, mi sento pronta a rinascere. Ottobre è il mese giusto. Adoro l’autunno, coi suoi colori perfetti e cangianti, con le foglie dappertutto, con le sue giornate uggiose. Adoro l’aria frizzante del mattino. Non vedo l’ora di tirar fuori dall’armadio guanti e cappello.

E sarà un caso –  me ne rendo conto solo ora –  ma ad ottobre di due anni fa sono stata operata per il cancro. Quale periodo migliore per una rinascita?

Il Manifesto

Questo post di Mia, come ho già detto, non è un post: è un manifesto, l’essenza dell’impegno di noi che abbiamo voluto impegnarci in Oltreilcancro.

Personalmente non mi sono accorta della diatriba, è un periodo faticoso e ho molto poco tempo per navigare in internet, leggo poco, commento niente.

Però non posso non far mio quanto scritto da Mia, parola per parola.

Di questo post mi hanno colpito la chiarezza, la capacità di sintesi, la passione, il tutto espresso con garbo ma anche determinazione. Senza offendere, senza provocare. Senza altro scopo che comunicare al mondo come la pensa lei e – oso immaginare – tanti di noi cancer bloggers, se non tutti.

Grazie Mia.

Bussole

Un giorno di un milione di anni fa il mio compagno mi regalò una bussola. Piccola, di legno, un bijou. In un astuccio blu di raso.

Poi capitò che lui mi fece male, tanto male, come solo un uomo innamorato ma immaturo può fare.

Quel male che non possiamo capire, che non possiamo accettare, perché essere feriti da chi ci ama va al di là di ogni regola.

Salutandolo, io gli restituii la bussola. Con un biglietto: sei tu che hai perso l’orientamento, sei tu che hai bisogno di sapere dov’è il nord.

Ora vorrei tanto avere una bussola al centro del mio corpo, vicino al cuore. Molto vicino al cuore.

Vorrei sapere da quale parte devo andare. E vedere un ago davanti a me, seguire una rotta sapendo che mi porterà lì dove devo andare, sarebbe rassicurante.

Invece orientarmi dentro di me è uno sforzo quotidiano, lacerante. E stancante oltre ogni dire.

Sono irrequieta, irritabile, nervosa. Perdo la pazienza facilmente, ma non (solo) nel senso che mi arrabbio con più facilità, ma nel senso che perdo la capacità di essere paziente, di capire quando posso e devo sorvolare.

Ho ricominciato a lavorare a tempo pieno e questo sicuramente pesa. E il lavoro non manca. La stanchezza agisce da elemento disturbante e non mi permette di essere salda, di crearmi un micronido all’interno del quale riprendere le energie mentali. E anche se ho in mente alcuni progetti per aiutarmi, intanto annaspo.

E scusate il post ombroso ma oggi va così…

Qualcosa di buono

Non è che non ho niente da dire.

E’ che sono in un periodo strano.

Un po’ sono inquieta. Quel sentimento che non so descrivere se non, forse, per esclusione: non è nervosismo, non è irritabilità, non è malessere.

E’ qualcosa che mi nasce da dentro, qualcosa che tira come una corda piantata dentro di me, esattamente in mezzo.

E’ un essere perennemente all’erta per qualcosa che, forse, sta succedendo. O che forse sono io che dovrei farlo succedere e non ho ancora i mezzi/il coraggio/l’occasione.

Non lo so, non l’ho ancora capito. Forse darmi tempo mi aiuterà a schiarire le idee.

Un po’ invece sono contenta. Tante cose stanno andando bene, ed è così rilassante concentrarsi sul quelle, assaporarle, viverle fino in fondo.

Vivere fino in fondo la pienezza di un sentimento buono, che sia passare una domenica coi bimbi e la sera vederli contenti, che sia far pace con qualcuno, ritrovare un vecchio amico, leggere una bella storia.

E’ vero anche che forse sto imparando. Ci sono tante cose nella mia vita e nella mia routine quotidiana che non vanno. Parlo di intoppi, di meccanismi che si inceppano, di piccole e grandi frustrazioni di non arrivare a fare certe cose o a prendere certe decisioni.

Ma è estremamente tonificante e rinvigorente scoprire che tutto questo non è che non sia importante, non è che passi in secondo piano, però non mi toglie il sorriso. La notte dormo lo stesso. Sono serena. Poi certo son cose che devo affrontare e so bene che non sono accessorie.

Però, davvero, forse….qualcosa di buono dalla malattia e da tutto quel che comporta sta accadendo dentro e fuori di me.

Ancora qui

Ma ti ricordi quando, di mattina prestissimo, andavamo in spiaggia a fare colazione da Lorenzo?
Quell’aria sottile, quella luce incredibile, e noi seduti a quel tavolino minuscolo col nostro primo caffè della giornata. Lo sguardo rivolto verso il mare.

La spiaggia vuota, e noi a goderci in silenzio, pieni di emozione, quelle preziosissime ore prima della folla in riva al mare.

E ti ricordi quelle sere in bici in riva al lago?
Ad attraversare il parco sul lungo lago ormai deserto, dopo che tutti i turisti della domenica se ne erano andati, tornati al caldo della città.

A fermarci lì sulla ciclabile, nell’ora in cui quell’azzurro così azzurro diventava piano piano blu, sempre più scuro.

A vedere le luci sull’altra sponda accendersi una per una, come piccole stelle sulle montagne.

E noi, per goderci ancora qualche ora di fresco, a tornare alla nostra casetta al lago, dormire abbracciati appena qualche ora, e ripartire per la città la mattina dopo molto prima dell’alba.

A cominciare la settimana arrivando in ufficio il lunedì alle sette e mezza. Ma tanto riposati.

E ti ricordi gli incredibili spazi africani? Le impressionanti maree di fine settembre?

Ti ricordi com’eravamo?
Qualche mese fa mi hai detto “Guarda, guarda come ci siamo ridotti. Così giovani e così provati, così stanchi. Così…”

Già, così tante ma tante cose passate insieme. Così tante prove.

Eri in uno dei tuoi rari momenti di sconforto, le notizie non erano state buone per te in quei giorni, e a fianco avevi pur sempre una giovane moglie malata di cancro.

Perché tante cose tutte insieme? Ce lo siamo chiesti ben poche volte. Uno spreco di energie nelle nostre giornate già tanto faticose.

Negli ultimi tempi – ma non te l’ho mai detto…. – ho spesso pensato che se il nostro sentimento non fosse stato così forte, ci saremmo persi tanto, tantissimo tempo fa.

Alle prime avvisaglie di tempesta. Alle primo grosse gocce di temporale.

Invece no.

Ammaccati, provati, stanchi. Ma siamo ancora qui.

Ancora sorridenti, ancora pieni d’affetto, ancora estasiati davanti ai nostri figli, a chiederci stupiti come abbiamo fatto a creare due miracoli simili.

A sentirci ancora le persone più fortunate del mondo.

Ancora mano nella mano nel sentiero che porta su fino al parco giochi.

Ancora pieni di progetti e di entusiasmo.

Tutti diversi, ma siamo qui.

L’aiuto

Bellissimo, emozionante, tremendo eppure leggero, frizzante.

Sono le primissime parole che mi vengono in mente dopo aver letto questo libro, opera prima di una scrittrice del Mississippi.

Anni ’60, storia ambientata in una cittadina qualunque di questo afoso stato del Sud. Anni ’60 che dovrebbero essere ieri e invece sono in un’epoca preistorica, per com’era la mentalità in tema di integrazione razziale e di diritti civili.

Una donna bianca e due domestiche di colore lavorano insieme ad un progetto al tempo stesso pericoloso e coraggioso.

Storie costruite benissimo, personaggi tratteggiati in modo profondo che ti sembra di averli lì davanti a te, stile fluido e scorrevole.

Vivrete con le protagoniste. Soffrirete con loro. Per loro. Palpiterete di paura e starete col fiato sospeso insieme a loro. Subirete le stesse ingiustizie e gli stessi pregiudizi.

Io l’ho divorato, e ne sono sicura: piacerà a tutti.