Ricominciamo

Questi mesi di assenza dal blog sono stati molto intensi.

Ho preso decisioni importanti, dato una svolta a diversi aspetti pratici della mia vita, tagliato tanti rami; ho ricevuto delusioni, anche, ma inaspettatamente da queste ne sono uscite anche cose buone. Per certi versi infatti adesso sono stanchissima ma più serena. Meno frustrata.

Ho iniziato anche una psicoterapia, non so dire se mi sento meglio ma la vedo come una grande opportunità per dare spazio a una parte di me che ho tenuto repressa per tanto tempo.

Ho riscritto il catalogo delle mie priorità, e finalmente sorrido, rileggendolo nella mia testa: sento che è quello giusto, che mi rispecchia, che mi fa bene.

La seconda vita che mi è stata concessa continua, a tratti col fiato sospeso perché l’ansia per i controlli del mese prossimo cominciano a farsi sentire. Sono un po’ ammaccata, ma sto recuperando le forze per essere pronta a spiccare il salto.

La zavorra

Ieri sono andata a fare una chiacchierata con una dottoressa, molto nota nel suo ambiente, e molto nota in generale, visto che partecipa a numerose trasmissioni e non disdegna certo i media.

Io andavo da lei vari anni fa, quando avevo tutt’altro genere di problemi fisici poi risolti brillantemente; quella di ieri non la voglio chiamare “visita” perché, per tutta una serie di motivi, è stata lei – tramite mio marito – a chiedermi di tornare nel suo studio appunto per fare una chiacchierata. E dal momento che questa dottoressa è uno di quei medici a 360°, ho deciso di tornare, sicura che avrei avuto vari spunti interessanti per stare meglio.

Già, perché uno dei lati negativi di tutto l’iter che ho compiuto fino ad ora, è stato riscontrare la grande settorializzazione dei medici. Sarà che non potrebbe essere altrimenti, in campo medico. Sarà che l’evoluzione della medicina ha portato a questo, che i medici devono essere iper-specializzati per poterci curare bene, però diciamo la verità, un po’ dispiace. Spiace vedere che l’oncologo non dice nulla del linfedema, spiace che il chirurgo plastico non ti parli dei danni che potrebbe riservare la radioterapia alla tua bella protesi, e via di questo passo potrei fornire decine di esempi.

Insomma, complice il marito, ieri sono andata da questa dottoressa. Che mi ha fatto domande che nessuno mi aveva fatto, che mi ha chiesto come mi sento, per esempio, e non è una psicologa. Che mi ha spiegato cosa mangiare per stare meglio. E non è una dietologa. Che mi ha detto che i braccialetti (che tengo anche di notte) è meglio non portarli al braccio operato. Che mi ha detto un due tre cose da fare in concreto per sentirmi meglio. Di partire da me, per poi riuscire ad occuparmi – e a farlo bene – a tutto il resto del mondo, cioè la mia famiglia.

Insomma, sono uscita un po’ turbata, l’ammetto, perché non mi ha detto solo cose facili da mettere in pratica, anzi alcune sono decisamente difficili. Richiederanno impegno. Ma sotto sotto ho capito di essere andata da lei al momento giusto, adesso sono pronta, sono motivata, adesso ce la posso fare.

E la cosa da cui partirò, sapete qual è? Liberarmi dalla zavorra: intesa non soltanto come lo strato di grasso che adesso, finite le cure, non ho motivo per continuare ad ignorare, ma zavorra in tanti sensi. Liberarmi dai pesi mentali non necessari, ma anche di tutto il superfluo che vedo intorno a me, a casa, sulla scrivania dell’ufficio, ma soprattutto in testa.

Liberare la mia casa da tutte le suppellettili in giro che non mi piacciono più, da tutti gli utensili in cucina che non uso, liberare gli armadietti della credenza dalla cose che non mangio e che non mangerò mai, liberare gli armadi dai vestiti che mi vanno stretti o che non mi vanno e basta.

Starò meglio, dopo, ne sono sicura. Sarà un viaggio delicato, richiederà attenzione, ma anche determinazione. Richiederà pause, si apriranno ricordi. Ma alla fine mi sentirò più leggera, e sicuramente meglio.

Ancora qui

Ma ti ricordi quando, di mattina prestissimo, andavamo in spiaggia a fare colazione da Lorenzo?
Quell’aria sottile, quella luce incredibile, e noi seduti a quel tavolino minuscolo col nostro primo caffè della giornata. Lo sguardo rivolto verso il mare.

La spiaggia vuota, e noi a goderci in silenzio, pieni di emozione, quelle preziosissime ore prima della folla in riva al mare.

E ti ricordi quelle sere in bici in riva al lago?
Ad attraversare il parco sul lungo lago ormai deserto, dopo che tutti i turisti della domenica se ne erano andati, tornati al caldo della città.

A fermarci lì sulla ciclabile, nell’ora in cui quell’azzurro così azzurro diventava piano piano blu, sempre più scuro.

A vedere le luci sull’altra sponda accendersi una per una, come piccole stelle sulle montagne.

E noi, per goderci ancora qualche ora di fresco, a tornare alla nostra casetta al lago, dormire abbracciati appena qualche ora, e ripartire per la città la mattina dopo molto prima dell’alba.

A cominciare la settimana arrivando in ufficio il lunedì alle sette e mezza. Ma tanto riposati.

E ti ricordi gli incredibili spazi africani? Le impressionanti maree di fine settembre?

Ti ricordi com’eravamo?
Qualche mese fa mi hai detto “Guarda, guarda come ci siamo ridotti. Così giovani e così provati, così stanchi. Così…”

Già, così tante ma tante cose passate insieme. Così tante prove.

Eri in uno dei tuoi rari momenti di sconforto, le notizie non erano state buone per te in quei giorni, e a fianco avevi pur sempre una giovane moglie malata di cancro.

Perché tante cose tutte insieme? Ce lo siamo chiesti ben poche volte. Uno spreco di energie nelle nostre giornate già tanto faticose.

Negli ultimi tempi – ma non te l’ho mai detto…. – ho spesso pensato che se il nostro sentimento non fosse stato così forte, ci saremmo persi tanto, tantissimo tempo fa.

Alle prime avvisaglie di tempesta. Alle primo grosse gocce di temporale.

Invece no.

Ammaccati, provati, stanchi. Ma siamo ancora qui.

Ancora sorridenti, ancora pieni d’affetto, ancora estasiati davanti ai nostri figli, a chiederci stupiti come abbiamo fatto a creare due miracoli simili.

A sentirci ancora le persone più fortunate del mondo.

Ancora mano nella mano nel sentiero che porta su fino al parco giochi.

Ancora pieni di progetti e di entusiasmo.

Tutti diversi, ma siamo qui.

Momenti di rottura

La vita è fatta di momenti di rottura“. Ieri mi sono imbattuta in questa frase mentre leggevo uno dei miei autori preferiti (H. Mankell, L’uomo che sorrideva).

Ed è partita la riflessione.

Perché in effetti il cancro, così come qualunque altra malattia, rappresenta un momento di rottura. Da qualunque parta la si guardi, è un’esperienza che fa cambiare. Fa cambiare noi e le persone che davvero ci  vogliono bene. Ci fa cambiare da dentro, prima che da fuori.

Quelli fortunati sfrutteranno l’occasione per crescere, per aprirsi al mondo, per evolversi e arrivare ad avere una concezione diversa di se stessi, degli altri e della vita in generale, una concezione più ricca, più piena, dove ogni sfumatura avrà un proprio valore e una propria dignità e sarà in grado di essere apprezzata.

Per altri, invece, purtroppo l’esperienza della malattia segnerà un punto di non ritorno, ma adesso noi non ci vogliamo pensare, perché vogliamo credere che tutto quello che stiamo passando serve – in primo luogo a noi – a diventare migliori.

Il portale di Oltreilcanro, ne sono convinta, è una delle prove più concrete di quello che sto cercando di dire: provare, raccontando le nostre esperienze, a spiegare cosa può succedere, raccogliere sensazioni, immagini, esperienze che la maggior parte di noi, pur nella unicità e peculiarità della propria malattia, è molto probabile che incontri nel suo cammino. E ci sentiamo subito meglio. Ci sentiamo a casa. Ci sentiamo compresi nel profondo. Ci si riconosce.

Che poi, chiaramente, non è solo la malattia a rappresentare un momento di rottura nella nostra vita: io stessa, prima del cancro, ho vissuto un importantissimo momento di rottura che segnerà la mia vita per sempre, che la condizionerà in modo pesante, e che in un certo modo è (stato) molto più difficile da gestire, e del quale non sono pronta a parlare. Un’esperienza che con uno sforzo enorme – ma cercando di essere coerente col mio spirito e con la mia visione delle cose – sto cercando quotidianamente di volgere a mio favore, di fare in modo che anche questa cosa che mi è successa mi aiuti ad essere una persona migliore: una lotta a volte impari, a volte invece mi sento meglio…

E così, anche in questi giorni per me un po’ tristi (vicende familiari non molto allegre….), voglio sforzarmi e continuare a pensare in positivo: voglio credere che questi momenti di rottura siano il motore di qualcosa di nuovo che ci porterà al di là delle difficoltà di ogni giorno, al di là della forma, al di là del muro tante volte così alto rappresentato dalle mille difficoltà quotidiane che tutti noi dobbiamo gestire.

Vorrei che i momenti di rottura, a volte così dolorosi, rappresentassero uno spunto per vivere meglio.

Giallo e blu

Ho  appena finito di leggere un libro che mi è piaciuto moltissimo.
Ok, queste parole suonano alquanto banali, però non saprei come altro descriverlo.
Ci provo: un libro ben scritto, scorrevole, emozionante, con una trama che si svolge su due piani paralleli: vicende dei giorni nostri e la storia di una storia ai tempi della seconda guerra mondiale, storie che alla fine convergono in un modo drammatico, terribile e non affatto scontato.
Un aspetto particolare di questo romanzo, per me, è stata la scoperta di un nuovo autore, un po’ particolare non fosse altro per il fatto che si tratta di un islandese. Io, che pure sono parecchio curiosa e che sulla mia libreria trovano posto autori davvero da ogni parte del mondo, avevo questa enorme lacuna.
Sì, lacuna, perchè il libro mi è piaciuto talmente tanto che ora corro a comprarmi tutti gli altri dello stesso autore, ho visto in rete che ce ne sono altri sei. Sì, perchè ogni volta che scopro un autore che mi appassiona, il mio primo pensiero è scoprire se per caso ha scritto altro, o se addirittura il libro che ho appena letto fa parte di una serie; allora tutta contenta faccio spazio nella libreria.
Così è accaduto, recentemente, a molti autori del nord Europa, tra i quali gli svedesi Asa Larsson e Henning Mankell (attualmente nella mia borsa il quarto della serie), Anne Holt (Norvegia), e anche al divertentissimo autore italiano Marco Malvaldi, di cui presto vi recensirò il terzo della incredibile sagra dei vecchietti. E a un inglese, che ha scritto una decina di romanzi dedicati all’enigmatico e strampalato commissario Morse, li ha scritti negli anni 70 ma solo adesso la casa editrice Sellerio, una delle mie preferite, ha deciso di pubblicare.
Caso strano, tutti questi libri hanno la copertina blu. Ma indovinate chi spicca, in splendidissimo giallo, tra tutti questi dorsi blu? Lei, la Vivissima (come l’ha definita Wide), la nostra compagna, il nostro faro. Annastaccatolisa.